Dio di misericordia, di don Fabio Rosini
11/27/2015
Riportiamo di seguito una catechesi scritta da don Fabio Rosini per il Sussidio sul Giubileo della Misericordia realizzato dalla diocesi di Roma in corso di pubblicazione. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, vedi la sezione Sacra Scrittura.
Cosa è la misericordia per la Bibbia? Capire bene la misericordia vuol dire intendere o non intendere l’amore di Dio. Non è poco. È diffuso il pensiero che la misericordia sia un sentimento, bello, nobile ed interiore. Questa visione è incompleta e fuorviante. Inoltre si può pensare che la misericordia sia una dimensione particolare, legata a determinate occasioni. Dio sceglierebbe in alcune circostanze di esercitare la misericordia come una risorsa "eventuale" (e così dovrebbe fare l'uomo). Vale a dire: l'amore misericordioso di Dio - e quello umano di rimando - sarebbe un evento straordinario, legato alla debolezza umana e limitato alla risposta di Dio a certe specifiche nostre azioni. Dio sarebbe ‘giusto’ e visto che noi spesso non lo siamo, è anche ‘misericordioso’...
Ma il Dio di Gesù Cristo non ha queste dicotomie, perché la Sua natura personale - e l'impronta che dà a tutto ciò che opera e manifesta di sé - è quella della paternità. Quindi non è giusto "o" misericordioso, ma è giusto “perché” misericordioso, ed è misericordioso perché giusto. Non è “un” padre, sottoposto ai parametri di un concetto astratto di paternità, ma è “il” Padre, da cui ogni paternità ha la sua consistenza (cfr. Ef 3,14). E ce lo rivela Cristo, crocifisso e risorto, senza il quale a Lui non abbiamo accesso.
La categoria biblica della misericordia, a partire dalla rivelazione del nome di Dio nel tempo dell'Esodo, ci mette davanti all'equazione, in Dio, fra la misericordia e l'identità:
Allora il Signore scese nella nube, si fermò là presso di lui e proclamò il nome del Signore. Il Signore passò davanti a lui, proclamando: «Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di amore e di fedeltà, che conserva il suo amore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato, ma non lascia senza punizione, che castiga la colpa dei padri nei figli e nei figli dei figli fino alla terza e alla quarta generazione». (Es 34,5-7)
È la rivelazione del nome di Dio, che Mosè riceve nel momento del restauro dell'Alleanza dopo il peccato del vitello d'oro. Dio rivela il suo segreto, un momento assai rilevante.
In questo fondamentale testo Dio si auto-proclama con attributi preziosi fra cui risaltano due termini fondamentali nell'Antico Testamento (AT): Raḥam ed Ḥesed, i due cardini principali del vocabolario della misericordia biblica.
Ḥesed è il termine più usato nell’AT per indicare la misericordia e l'amore; c'è una frase che torna una quantità smisurata di volte in tanti testi: “kî le-olam ḥasdô” - ”perché eterna è la sua misericordia” [o: “il suo amore” - secondo le traduzioni]. Solo alcune citazioni: Sal 100,5; 106,1; 107,1; 118,1.4.29; 136,1-26; 1Cr 16,36.41; Ger 33,11. Questi sono i passi ‘tipici’, ma la stessa frase torna, in modo più o meno esplicito, un po’ ovunque nei testi.
L’esempio più rimarchevole è il Salmo 136, e la sua martellante ripetizione della frase, ben 26 volte (!) nella stesso Salmo…
Ma a cosa è collegata la misericordia di Dio? Vediamo alcuni esempi nel Salmo, spigolando qua e la:
Rendete grazie al Signore perché è buono, perché il suo amore è per sempre.
Ha creato i cieli con sapienza, perché il suo amore è per sempre.
Ha disteso la terra sulle acque, perché il suo amore è per sempre.
Ha fatto le grandi luci, perché il suo amore è per sempre.
Colpì l'Egitto nei suoi primogeniti, perché il suo amore è per sempre.
Da quella terra fece uscire Israele, perché il suo amore è per sempre.
Con mano potente e braccio teso, perché il suo amore è per sempre.
Egli dà il cibo a ogni vivente, perché il suo amore è per sempre.
Rendete grazie al Dio del cielo, perché il suo amore è per sempre (Sal 136,1.5-7.10-12.25-26).
La stessa attribuzione tocca i temi della creazione, della liberazione e della provvidenza nel presente. L'amore misericordioso di Dio è in azione di certo nella redenzione ma anche nella fondazione del mondo e nel governo attuale. Quindi la misericordia di Dio è presente in ogni fase della sua azione. Il Salmo proclama patentemente che l'amore e la misericordia sono il tratto costante dell’agire di Dio.
Ḥesed, infatti, è fondamentalmente ‘tenerezza’, ma una tenerezza intessuta di ‘fedeltà’ e ha il suo luogo d’essere negli eventi che Dio governa, nell’operatività di Dio. È il motore che porta avanti la storia, i fatti, la Creazione, la Liberazione, la Provvidenza.
L’altro termine cardine che compare nell’AT (e in Es 34 tradotto con il termine pietoso) è il verbo Raḥam (dal termine ‘Reḥem’che vuol dire viscera, e corrisponde essenzialmente all’organo capace di gestare la vita, l’utero). Questo termine collega l'opera di Dio alle Sue viscere, con ultimo riferimento a quelle viscere tutte femminili che intessono la vita... per cui la misericordia risulta essere attività rigenerante, che ri-crea. Nel termine italiano 'misericordia' è facile rinvenire la matrice latina della parola 'cuore' - cor, cordis - ma il cuore batte dando ritmo ed emozione alla persona che lo possiede. Invece l'utero è un organo che gesta la vita di un altro.
Un testo tipico in cui appare questa attitudine di Dio è un passo del profeta Isaia in cui il Signore è presentato con attitudini femminili:
“Sion ha detto: «Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato». Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai” (Is 49,14-15).
Cosicché nella misericordia abbiamo due aspetti: uno paterno-maschile, se vogliamo, e uno materno-femminile. Quello maschile è una energia tenera ma possente, operativa, provvidente, quello femminile è la generazione, la costruzione, o la ri-costruzione della vita a partire da un legame viscerale.
Va notato uno di quei molti testi in cui Es 34,5-7 viene richiamato quasi letteralmente, il Sal 103, che recita:
7 Ha fatto conoscere a Mosè le sue vie, le sue opere ai figli d'Israele.
8 Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all'ira e grande nell'amore. 9 Non è in lite per sempre, non rimane adirato in eterno. 10 Non ci tratta secondo i nostri peccati e non ci ripaga secondo le nostre colpe. 11 Perché quanto il cielo è alto sulla terra, così la sua misericordia (hesed) è potente su quelli che lo temono; 12 quanto dista l'oriente dall'occidente, così egli allontana da noi le nostre colpe. 13 Come è tenero un padre verso i figli, così il Signore è tenero (raham) verso quelli che lo temono, 14 perché egli sa bene di che siamo plasmati, ricorda che noi siamo polvere (Sal 103,7-14).
Mentre il v.7 ricorda appunto la rivelazione del Suo essere a Mosè e al popolo, i vv.8-10 sono una citazione quasi letterale di Es 34,6 e una parafrasi del verso seguente, e i vv.11-14 sono una spiegazione di quanto appena enunciato. Interessante notare che la misericordia citata al v.11 è la ḥesed mentre la tenerezza del v.13 è descritta con il verbo raḥam, i nostri due termini principali, che vengono spiegati come attività che tiene conto della ‘pasta’ della natura umana, ossia delle nostra miseria su cui Dio opera con la sua onnipotenza e di cui ha tenerezza paterna (descritta usando un termine viscerale-femminile).
Ma la cosa più importante da sottolineare è che, in entrambi i casi, l’oggetto della misericordia è la vita di chi è amato.
Qual è quindi la natura propria della misericordia? Attraverso un’attività oggettiva, generare o ri-generare la vita. L'attitudine divina di creare dal nulla si riflette strepitosamente nell’atto della misericordia, il quale cosa fa? Rigenera, operando nella vita di colui che è oggetto della misericordia. La benevolenza di Dio cambia la vita della persona, non fa solo pervenire il senso di un sentimento di accoglienza; non è qualcuno che ha solo interiore compassione. Nei Vangeli, infatti, vediamo che quando Gesù ha compassione conseguentemente opera, sempre! (Mt 9,36s; 14,14; 15,32; Mc 1,41; Lc 7,13s).
Abbiamo focalizzato così un problema usuale che abbiamo con l’amore. Noi crediamo che l’amore sia solo un sentimento: l’amore è un atto che implica tutta la nostra persona, sentimento, intelligenza, memoria, intenzione, operatività, abilità, tenacia, verifica, e altro ancora. In Dio la misericordia è l’atto del governo della storia, è la Sua natura, che genera, dà la vita, la guida, la ristabilisce.
La Beata Vergine Maria, nel Magnificat in Lc 1, legge tutta la storia - con un illuminante "d'ora in poi" al v. 48 che indica la sua consapevolezza di essere al centro di uno snodo definitivo della salvezza - e dopo aver presentato l'Onnipotente e il Suo nome santo come centro del suo canto, passa a sintetizzare la storia:
“...50 di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono. 51 Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; 52 ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; 53 ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi. 54 Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, 55 come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre».” (Lc 1,50-55)
Il v. 55 indica che tutto ciò è il compimento della promessa fatta ad Abramo, ma questa opera si inquadra, fra i vv. 50 e 54, nella misericordia. Questa misericordia “disperde i superbi e innalza gli umili, ricolma di beni gli affamati e svuota le mani dei ricchi”. Ecco che vanno in tilt le nostre categorie: questa noi la chiamiamo giustizia e invece no, è misericordia! Questo ci aiuta ad intendere le strane espressioni di Es 34,7 - che prima non abbiamo rimarcato – dalle quali si può cogliere un altro aspetto della misericordia di Dio:
“...che conserva il suo amore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato, ma non lascia senza punizione, che castiga la colpa dei padri nei figli e nei figli dei figli fino alla terza e alla quarta generazione» ” (Es 34,5-7)
Cosa è la misericordia di un buon padre? L'avallo incondizionato agli atti del figlio, o piuttosto la cura e la guida dello stesso verso il meglio di sé anche se ciò implicasse un castigo o una restrizione? Chi mi ama di più? Chi mi da sempre ragione o chi mi sa contestare perché tiene a me, mi conosce, e cerca il mio cuore, la mia verità?
“Riconosci dunque in cuor tuo che, come un uomo corregge il figlio, così il Signore tuo Dio corregge te“ (Deut 8,5)
Questo è un attributo fondamentale della misericordia biblica: è la cura dell'altro e del suo bene più autentico. Non è il soccorso fine a se stesso: è la vita integrale di colui che è soccorso.
Ciò richiede, fra le altre, scienza, abilità, intuizione e capacità di finalizzazione grandi, enormi, si può dire soprannaturali o divine. E non è un caso a tal proposito che ci siano due verbi nell'AT riservati esclusivamente a Dio, avendo Lui solo come possibile attore: il verbo ‘creare’ [br’] e il verbo ‘perdonare’ [slḥ]. Come abbiamo visto questi sono contenuti essenziali della misericordia. E sono prerogative esclusivamente divine.
Quest’ultima annotazione ci permette di portare il discorso su un altro grande equivoco sulla misericordia, che, passando dall'ambiente dell'AT a quello del NT, possiamo introdurre ponendoci una domanda: da dove sorge la misericordia? Se vogliamo agire in modo misericordioso, da dove prendiamo questa attitudine? Quando si tratta di avere pietà e misericordia per il prossimo, noi cerchiamo in genere di far leva sulla volontà.
Esortiamo alla misericordia, rimproveriamo chi non ha avuto pietà, esecriamo l'indifferenza del cuore rispetto al prossimo facendo appello all'etica, all'imperativo categorico. E così facendo poniamo le basi del comune sentire a proposito del bene, dell'amore misericordioso, della pietà verso poveri e peccatori. Tuttaviaquesto senso comune avverte queste cose come “faticose ma doverose”, lanciando il praticante di misericordia in una apnea di impegno, tanto da arrivare a fare del perdono un atto titanico, un sovraccarico esistenziale a cui tanti rinunciano.
Ma la misericordia ha ben altre sorgenti! Se l'amore compassionevole e indulgente fosse una nota comunemente disponibile nel nostro equipaggiamento, allora sì, la strada sarebbe quella della volontà, della decisione umana. Ma non era un caso l'esclusività nell'AT del verbo ‘slḥ’, che trova eco nella frase degli scribi davanti alle parole di Gesù al paralitico calato dal tetto:
“5 Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: «Figlio, ti sono perdonati i peccati». Erano seduti là alcuni scribi e pensavano in cuor loro: «Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può perdonare i peccati, se non Dio solo?». E subito Gesù, conoscendo nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: «Perché pensate queste cose nel vostro cuore? Che cosa è più facile: dire al paralitico «Ti sono perdonati i peccati», oppure dire «Àlzati, prendi la tua barella e cammina»? Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra, dico a te - disse al paralitico -: àlzati, prendi la tua barella e va' a casa tua». Quello si alzò e subito presa la sua barella, sotto gli occhi di tutti se ne andò, e tutti si meravigliarono e lodavano Dio, dicendo: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!» (Mc 2,5-12).
La frase degli scribi è ineccepibile. Chi può maneggiare questo materiale, ossia il peccato? Chi potrà lavare le macchie che l'uomo porta dentro? Chi potrà togliere via l’inchiostro delle nostre colpe? Chi potrà togliere l’amarezza per gli errori commessi? Sappiamo come si lava un corpo o un indumento, sappiamo mondare le cose, rigenerare i materiali, rimettere in moto ciò che si è rotto. Ma come si lava il cuore? Come si ‘resetta’ l’anima?
Dio solo ha questo potere, perché unicamente chi ha creato può ri-creare. Le persone e le sapienze di questo mondo cercano in tanti modi di ‘ri-fare’ l'uomo, di scuotergli di dosso il passato o le sue tortuosità. Una ricerca vana. L'uomo al massimo potrà dare equilibrio, non vita nuova. Solo Dio ha questo potere.
Infatti Cristo non smentisce gli scribi ma annunzia l'irruzione di ben altra novità, e guarire un paralitico diventa solo un fatto secondario per annunziare questa cosa: il Figlio dell'uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra! Sulla terra è arrivato il perdono, la misericordia.
La misericordia arriva dal cielo, perché se abbiamo visto che il Suo nome contiene questa identità misericordiosa, Lui, come diceva il testo di Es 34, è ricco di amore e di fedeltà. La misericordia è la sua ricchezza, ed è la sua prerogativa. Tutto ciò che doveva essere rivelato di Dio, e che era nascosto, si manifesta nel Signore Gesù, unigenito figlio di Dio, che viene con uno scopo ben preciso:
«Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui» (Gv 3,16s).
E Paolo sintetizza:
«Anche tutti noi (...) eravamo per natura meritevoli d'ira, come gli altri. Ma Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati. Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù» (Ef 2,3-7).
La porta della salvezza è l'amore misericordioso del Padre. La misericordia di Dio non è una delle strade, è l'unica strada! È il mandato del Messia, ed è un culto nuovo, che deriva dall'esperienza battesimale del perdono dei peccati, e che, annunziato dai profeti, è stato incarnato nel Signore Gesù come autentico sistema di priorità:
Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Udito questo, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mt 9,11-13).
Di conseguenza Cristo risorto ha un mandato da comunicare:
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati» (Gv 20, 21-23).
Ecco la sorgente della misericordia: lo Spirito Santo, lo Spirito di Dio, il segreto di Dio, la sua paternità-maternità in quanto ci viene comunicata. Nella scena di Gv 20 Gesù fa un atto di creazione analogo a Gen 2,7 quando l'uomo diviene essere vivente per l'alito di vita insufflato nelle sue narici. Ecco che ora viene effuso l'alito della vita divina, e l'uomo, come parte della Chiesa, diventa ‘Alter Cristus’ (“Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”). Quale è la caratteristica assolutamente divina che gli è stata consegnata? Rimettere i peccati. Stiamo parlando in primis del Battesimo, il mandato fondamentale, la chiave di tutto.
Da questo, negli Atti degli Apostoli, sgorgherà la fraternità, la compassione reciproca, il tratto misericordioso nell'agire (Cfr. At 2,37-47). Non si può ridurre la misericordia ad una nostra iniziativa, ad una nostra coerenza…
“Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. In questo si è manifestato l'amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui. In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati.
Carissimi, se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri” (1Gv 4,7-11).
Per amare bisogna essere stati generati, e l'iniziativa è dell'Unico che possa fare questo. Come ridurre la misericordia ad uno sforzo umano? È invece una risposta, l'unica autenticante di un vero incontro con Dio. Chi non ha misericordia “non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore”. Non è questione di essere buoni o cattivi, ma di essere generati dalla misericordia.
Si arriva così ad intendere la misura del "poco" e del "molto" in questo mondo della misericordia. Si può dare misericordia se e nella misura in cui si accoglie la misericordia:
“Colui al quale si perdona poco, ama poco” (Lc 7,47)
In questo ridotto spazio dobbiamo accontentarci di queste macroscopiche note riguardanti la misericordia biblica. Nasce da Dio, perché Dio è misericordia. Non è solo un sentimento, perché è il tratto globale dell'agire di Dio e di chi da Dio è generato. Ed è la vera giustizia, supera il sacrificio, e sarà la chiave della valutazione di tutta la storia e dell'agire di ogni uomo:
“... il giudizio sarà senza misericordia contro chi non avrà avuto misericordia. La misericordia ha sempre la meglio sul giudizio” (Gc 2,13)
“Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia” (Mt 5,7).
Cosa è la misericordia per la Bibbia? Capire bene la misericordia vuol dire intendere o non intendere l’amore di Dio. Non è poco. È diffuso il pensiero che la misericordia sia un sentimento, bello, nobile ed interiore. Questa visione è incompleta e fuorviante. Inoltre si può pensare che la misericordia sia una dimensione particolare, legata a determinate occasioni. Dio sceglierebbe in alcune circostanze di esercitare la misericordia come una risorsa "eventuale" (e così dovrebbe fare l'uomo). Vale a dire: l'amore misericordioso di Dio - e quello umano di rimando - sarebbe un evento straordinario, legato alla debolezza umana e limitato alla risposta di Dio a certe specifiche nostre azioni. Dio sarebbe ‘giusto’ e visto che noi spesso non lo siamo, è anche ‘misericordioso’...
Ma il Dio di Gesù Cristo non ha queste dicotomie, perché la Sua natura personale - e l'impronta che dà a tutto ciò che opera e manifesta di sé - è quella della paternità. Quindi non è giusto "o" misericordioso, ma è giusto “perché” misericordioso, ed è misericordioso perché giusto. Non è “un” padre, sottoposto ai parametri di un concetto astratto di paternità, ma è “il” Padre, da cui ogni paternità ha la sua consistenza (cfr. Ef 3,14). E ce lo rivela Cristo, crocifisso e risorto, senza il quale a Lui non abbiamo accesso.
La categoria biblica della misericordia, a partire dalla rivelazione del nome di Dio nel tempo dell'Esodo, ci mette davanti all'equazione, in Dio, fra la misericordia e l'identità:
Allora il Signore scese nella nube, si fermò là presso di lui e proclamò il nome del Signore. Il Signore passò davanti a lui, proclamando: «Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di amore e di fedeltà, che conserva il suo amore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato, ma non lascia senza punizione, che castiga la colpa dei padri nei figli e nei figli dei figli fino alla terza e alla quarta generazione». (Es 34,5-7)
È la rivelazione del nome di Dio, che Mosè riceve nel momento del restauro dell'Alleanza dopo il peccato del vitello d'oro. Dio rivela il suo segreto, un momento assai rilevante.
In questo fondamentale testo Dio si auto-proclama con attributi preziosi fra cui risaltano due termini fondamentali nell'Antico Testamento (AT): Raḥam ed Ḥesed, i due cardini principali del vocabolario della misericordia biblica.
Ḥesed è il termine più usato nell’AT per indicare la misericordia e l'amore; c'è una frase che torna una quantità smisurata di volte in tanti testi: “kî le-olam ḥasdô” - ”perché eterna è la sua misericordia” [o: “il suo amore” - secondo le traduzioni]. Solo alcune citazioni: Sal 100,5; 106,1; 107,1; 118,1.4.29; 136,1-26; 1Cr 16,36.41; Ger 33,11. Questi sono i passi ‘tipici’, ma la stessa frase torna, in modo più o meno esplicito, un po’ ovunque nei testi.
L’esempio più rimarchevole è il Salmo 136, e la sua martellante ripetizione della frase, ben 26 volte (!) nella stesso Salmo…
Ma a cosa è collegata la misericordia di Dio? Vediamo alcuni esempi nel Salmo, spigolando qua e la:
Rendete grazie al Signore perché è buono, perché il suo amore è per sempre.
Ha creato i cieli con sapienza, perché il suo amore è per sempre.
Ha disteso la terra sulle acque, perché il suo amore è per sempre.
Ha fatto le grandi luci, perché il suo amore è per sempre.
Colpì l'Egitto nei suoi primogeniti, perché il suo amore è per sempre.
Da quella terra fece uscire Israele, perché il suo amore è per sempre.
Con mano potente e braccio teso, perché il suo amore è per sempre.
Egli dà il cibo a ogni vivente, perché il suo amore è per sempre.
Rendete grazie al Dio del cielo, perché il suo amore è per sempre (Sal 136,1.5-7.10-12.25-26).
La stessa attribuzione tocca i temi della creazione, della liberazione e della provvidenza nel presente. L'amore misericordioso di Dio è in azione di certo nella redenzione ma anche nella fondazione del mondo e nel governo attuale. Quindi la misericordia di Dio è presente in ogni fase della sua azione. Il Salmo proclama patentemente che l'amore e la misericordia sono il tratto costante dell’agire di Dio.
Ḥesed, infatti, è fondamentalmente ‘tenerezza’, ma una tenerezza intessuta di ‘fedeltà’ e ha il suo luogo d’essere negli eventi che Dio governa, nell’operatività di Dio. È il motore che porta avanti la storia, i fatti, la Creazione, la Liberazione, la Provvidenza.
L’altro termine cardine che compare nell’AT (e in Es 34 tradotto con il termine pietoso) è il verbo Raḥam (dal termine ‘Reḥem’che vuol dire viscera, e corrisponde essenzialmente all’organo capace di gestare la vita, l’utero). Questo termine collega l'opera di Dio alle Sue viscere, con ultimo riferimento a quelle viscere tutte femminili che intessono la vita... per cui la misericordia risulta essere attività rigenerante, che ri-crea. Nel termine italiano 'misericordia' è facile rinvenire la matrice latina della parola 'cuore' - cor, cordis - ma il cuore batte dando ritmo ed emozione alla persona che lo possiede. Invece l'utero è un organo che gesta la vita di un altro.
Un testo tipico in cui appare questa attitudine di Dio è un passo del profeta Isaia in cui il Signore è presentato con attitudini femminili:
“Sion ha detto: «Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato». Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai” (Is 49,14-15).
Cosicché nella misericordia abbiamo due aspetti: uno paterno-maschile, se vogliamo, e uno materno-femminile. Quello maschile è una energia tenera ma possente, operativa, provvidente, quello femminile è la generazione, la costruzione, o la ri-costruzione della vita a partire da un legame viscerale.
Va notato uno di quei molti testi in cui Es 34,5-7 viene richiamato quasi letteralmente, il Sal 103, che recita:
7 Ha fatto conoscere a Mosè le sue vie, le sue opere ai figli d'Israele.
8 Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all'ira e grande nell'amore. 9 Non è in lite per sempre, non rimane adirato in eterno. 10 Non ci tratta secondo i nostri peccati e non ci ripaga secondo le nostre colpe. 11 Perché quanto il cielo è alto sulla terra, così la sua misericordia (hesed) è potente su quelli che lo temono; 12 quanto dista l'oriente dall'occidente, così egli allontana da noi le nostre colpe. 13 Come è tenero un padre verso i figli, così il Signore è tenero (raham) verso quelli che lo temono, 14 perché egli sa bene di che siamo plasmati, ricorda che noi siamo polvere (Sal 103,7-14).
Mentre il v.7 ricorda appunto la rivelazione del Suo essere a Mosè e al popolo, i vv.8-10 sono una citazione quasi letterale di Es 34,6 e una parafrasi del verso seguente, e i vv.11-14 sono una spiegazione di quanto appena enunciato. Interessante notare che la misericordia citata al v.11 è la ḥesed mentre la tenerezza del v.13 è descritta con il verbo raḥam, i nostri due termini principali, che vengono spiegati come attività che tiene conto della ‘pasta’ della natura umana, ossia delle nostra miseria su cui Dio opera con la sua onnipotenza e di cui ha tenerezza paterna (descritta usando un termine viscerale-femminile).
Ma la cosa più importante da sottolineare è che, in entrambi i casi, l’oggetto della misericordia è la vita di chi è amato.
Qual è quindi la natura propria della misericordia? Attraverso un’attività oggettiva, generare o ri-generare la vita. L'attitudine divina di creare dal nulla si riflette strepitosamente nell’atto della misericordia, il quale cosa fa? Rigenera, operando nella vita di colui che è oggetto della misericordia. La benevolenza di Dio cambia la vita della persona, non fa solo pervenire il senso di un sentimento di accoglienza; non è qualcuno che ha solo interiore compassione. Nei Vangeli, infatti, vediamo che quando Gesù ha compassione conseguentemente opera, sempre! (Mt 9,36s; 14,14; 15,32; Mc 1,41; Lc 7,13s).
Abbiamo focalizzato così un problema usuale che abbiamo con l’amore. Noi crediamo che l’amore sia solo un sentimento: l’amore è un atto che implica tutta la nostra persona, sentimento, intelligenza, memoria, intenzione, operatività, abilità, tenacia, verifica, e altro ancora. In Dio la misericordia è l’atto del governo della storia, è la Sua natura, che genera, dà la vita, la guida, la ristabilisce.
La Beata Vergine Maria, nel Magnificat in Lc 1, legge tutta la storia - con un illuminante "d'ora in poi" al v. 48 che indica la sua consapevolezza di essere al centro di uno snodo definitivo della salvezza - e dopo aver presentato l'Onnipotente e il Suo nome santo come centro del suo canto, passa a sintetizzare la storia:
“...50 di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono. 51 Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; 52 ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; 53 ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi. 54 Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, 55 come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre».” (Lc 1,50-55)
Il v. 55 indica che tutto ciò è il compimento della promessa fatta ad Abramo, ma questa opera si inquadra, fra i vv. 50 e 54, nella misericordia. Questa misericordia “disperde i superbi e innalza gli umili, ricolma di beni gli affamati e svuota le mani dei ricchi”. Ecco che vanno in tilt le nostre categorie: questa noi la chiamiamo giustizia e invece no, è misericordia! Questo ci aiuta ad intendere le strane espressioni di Es 34,7 - che prima non abbiamo rimarcato – dalle quali si può cogliere un altro aspetto della misericordia di Dio:
“...che conserva il suo amore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato, ma non lascia senza punizione, che castiga la colpa dei padri nei figli e nei figli dei figli fino alla terza e alla quarta generazione» ” (Es 34,5-7)
Cosa è la misericordia di un buon padre? L'avallo incondizionato agli atti del figlio, o piuttosto la cura e la guida dello stesso verso il meglio di sé anche se ciò implicasse un castigo o una restrizione? Chi mi ama di più? Chi mi da sempre ragione o chi mi sa contestare perché tiene a me, mi conosce, e cerca il mio cuore, la mia verità?
“Riconosci dunque in cuor tuo che, come un uomo corregge il figlio, così il Signore tuo Dio corregge te“ (Deut 8,5)
Questo è un attributo fondamentale della misericordia biblica: è la cura dell'altro e del suo bene più autentico. Non è il soccorso fine a se stesso: è la vita integrale di colui che è soccorso.
Ciò richiede, fra le altre, scienza, abilità, intuizione e capacità di finalizzazione grandi, enormi, si può dire soprannaturali o divine. E non è un caso a tal proposito che ci siano due verbi nell'AT riservati esclusivamente a Dio, avendo Lui solo come possibile attore: il verbo ‘creare’ [br’] e il verbo ‘perdonare’ [slḥ]. Come abbiamo visto questi sono contenuti essenziali della misericordia. E sono prerogative esclusivamente divine.
Quest’ultima annotazione ci permette di portare il discorso su un altro grande equivoco sulla misericordia, che, passando dall'ambiente dell'AT a quello del NT, possiamo introdurre ponendoci una domanda: da dove sorge la misericordia? Se vogliamo agire in modo misericordioso, da dove prendiamo questa attitudine? Quando si tratta di avere pietà e misericordia per il prossimo, noi cerchiamo in genere di far leva sulla volontà.
Esortiamo alla misericordia, rimproveriamo chi non ha avuto pietà, esecriamo l'indifferenza del cuore rispetto al prossimo facendo appello all'etica, all'imperativo categorico. E così facendo poniamo le basi del comune sentire a proposito del bene, dell'amore misericordioso, della pietà verso poveri e peccatori. Tuttaviaquesto senso comune avverte queste cose come “faticose ma doverose”, lanciando il praticante di misericordia in una apnea di impegno, tanto da arrivare a fare del perdono un atto titanico, un sovraccarico esistenziale a cui tanti rinunciano.
Ma la misericordia ha ben altre sorgenti! Se l'amore compassionevole e indulgente fosse una nota comunemente disponibile nel nostro equipaggiamento, allora sì, la strada sarebbe quella della volontà, della decisione umana. Ma non era un caso l'esclusività nell'AT del verbo ‘slḥ’, che trova eco nella frase degli scribi davanti alle parole di Gesù al paralitico calato dal tetto:
“5 Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: «Figlio, ti sono perdonati i peccati». Erano seduti là alcuni scribi e pensavano in cuor loro: «Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può perdonare i peccati, se non Dio solo?». E subito Gesù, conoscendo nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: «Perché pensate queste cose nel vostro cuore? Che cosa è più facile: dire al paralitico «Ti sono perdonati i peccati», oppure dire «Àlzati, prendi la tua barella e cammina»? Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra, dico a te - disse al paralitico -: àlzati, prendi la tua barella e va' a casa tua». Quello si alzò e subito presa la sua barella, sotto gli occhi di tutti se ne andò, e tutti si meravigliarono e lodavano Dio, dicendo: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!» (Mc 2,5-12).
La frase degli scribi è ineccepibile. Chi può maneggiare questo materiale, ossia il peccato? Chi potrà lavare le macchie che l'uomo porta dentro? Chi potrà togliere via l’inchiostro delle nostre colpe? Chi potrà togliere l’amarezza per gli errori commessi? Sappiamo come si lava un corpo o un indumento, sappiamo mondare le cose, rigenerare i materiali, rimettere in moto ciò che si è rotto. Ma come si lava il cuore? Come si ‘resetta’ l’anima?
Dio solo ha questo potere, perché unicamente chi ha creato può ri-creare. Le persone e le sapienze di questo mondo cercano in tanti modi di ‘ri-fare’ l'uomo, di scuotergli di dosso il passato o le sue tortuosità. Una ricerca vana. L'uomo al massimo potrà dare equilibrio, non vita nuova. Solo Dio ha questo potere.
Infatti Cristo non smentisce gli scribi ma annunzia l'irruzione di ben altra novità, e guarire un paralitico diventa solo un fatto secondario per annunziare questa cosa: il Figlio dell'uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra! Sulla terra è arrivato il perdono, la misericordia.
La misericordia arriva dal cielo, perché se abbiamo visto che il Suo nome contiene questa identità misericordiosa, Lui, come diceva il testo di Es 34, è ricco di amore e di fedeltà. La misericordia è la sua ricchezza, ed è la sua prerogativa. Tutto ciò che doveva essere rivelato di Dio, e che era nascosto, si manifesta nel Signore Gesù, unigenito figlio di Dio, che viene con uno scopo ben preciso:
«Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui» (Gv 3,16s).
E Paolo sintetizza:
«Anche tutti noi (...) eravamo per natura meritevoli d'ira, come gli altri. Ma Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati. Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù» (Ef 2,3-7).
La porta della salvezza è l'amore misericordioso del Padre. La misericordia di Dio non è una delle strade, è l'unica strada! È il mandato del Messia, ed è un culto nuovo, che deriva dall'esperienza battesimale del perdono dei peccati, e che, annunziato dai profeti, è stato incarnato nel Signore Gesù come autentico sistema di priorità:
Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Udito questo, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mt 9,11-13).
Di conseguenza Cristo risorto ha un mandato da comunicare:
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati» (Gv 20, 21-23).
Ecco la sorgente della misericordia: lo Spirito Santo, lo Spirito di Dio, il segreto di Dio, la sua paternità-maternità in quanto ci viene comunicata. Nella scena di Gv 20 Gesù fa un atto di creazione analogo a Gen 2,7 quando l'uomo diviene essere vivente per l'alito di vita insufflato nelle sue narici. Ecco che ora viene effuso l'alito della vita divina, e l'uomo, come parte della Chiesa, diventa ‘Alter Cristus’ (“Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”). Quale è la caratteristica assolutamente divina che gli è stata consegnata? Rimettere i peccati. Stiamo parlando in primis del Battesimo, il mandato fondamentale, la chiave di tutto.
Da questo, negli Atti degli Apostoli, sgorgherà la fraternità, la compassione reciproca, il tratto misericordioso nell'agire (Cfr. At 2,37-47). Non si può ridurre la misericordia ad una nostra iniziativa, ad una nostra coerenza…
“Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. In questo si è manifestato l'amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui. In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati.
Carissimi, se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri” (1Gv 4,7-11).
Per amare bisogna essere stati generati, e l'iniziativa è dell'Unico che possa fare questo. Come ridurre la misericordia ad uno sforzo umano? È invece una risposta, l'unica autenticante di un vero incontro con Dio. Chi non ha misericordia “non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore”. Non è questione di essere buoni o cattivi, ma di essere generati dalla misericordia.
Si arriva così ad intendere la misura del "poco" e del "molto" in questo mondo della misericordia. Si può dare misericordia se e nella misura in cui si accoglie la misericordia:
“Colui al quale si perdona poco, ama poco” (Lc 7,47)
In questo ridotto spazio dobbiamo accontentarci di queste macroscopiche note riguardanti la misericordia biblica. Nasce da Dio, perché Dio è misericordia. Non è solo un sentimento, perché è il tratto globale dell'agire di Dio e di chi da Dio è generato. Ed è la vera giustizia, supera il sacrificio, e sarà la chiave della valutazione di tutta la storia e dell'agire di ogni uomo:
“... il giudizio sarà senza misericordia contro chi non avrà avuto misericordia. La misericordia ha sempre la meglio sul giudizio” (Gc 2,13)
“Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia” (Mt 5,7).
L'amore è un onda che si propaga...
LA STORIA DEL SALICE PIANGENTE... "Chi ne viene a contatto si trasforma in un bellissimo e profumato fiore che fa più bella la terra"
Voi conoscete quell'albero che si chiama "salice piangente"? Una volta era un "salice ridente". Era un albero che cresceva all'interno di un recinto (i dieci comandamenti), innaffiato e curato da un contadino molto sapiente e molto buono. I rami del salice ridente erano bellissimi, lunghissimi, tutti rivolti verso l'alto.. verso il sole che lo inondava della sua luce dall'alba al tramonto. Lo chiamavano "ridente" perché tutta quella luce rendeva l'albero sempre di buon umore e gli uccellini si posavano fra i suoi rami dritti per cantare. E il salice era felice. Ma una notte di primavera, l'albero faticava ad addormentarsi. Vide un serpente che da fuori il recinto si avvicinava verso di lui. "Perché te ne stai dentro questo recinto?" disse il serpente. "Non lo so. Sono sempre stato qui" rispose il salice. "Perché? C'è qualcosa oltre il recinto che è più bello?". "C'è la libertà..." bisbigliò il serpente col tono di chi sembrava essere molto esperto ma anche voleva tenere la cosa segreta. "Che significa "libertà"?" domandò il salice ridente. "Significa la possibilità di fare quello che ti pare. Non vedi che qui nel recinto hai bisogno del figlioletto del padrone che ti innaffia? Fuori dal recinto scorre il fiume e tu potresti assorbire tutta l'acqua che vuoi senza aspettare che il figlio del contadino ti innaffi. E poi, vuoi mettere l'avventura di entrare nel terreno di un altro e succhiare con le radici il nutrimento di altri alberi.. Senza contare che nessuno ti poterebbe più i rami! Così decideresti tu se andare da una parte o dall'altra senza per forza essere così dritto"! Disgraziatamente il nostro albero si fece convincere ad alzare le radici e scavalcare il recinto. La terra era così morbida che non fece per niente fatica. Il contadino, infatti, la zappettava e la concimava ogni giorno. Sempre di notte e sempre con quell'aria di chi doveva tenere la faccenda nascosta, il salice ridente scavalcò il recinto e si sentì - per la prima volta nella sua vita - strano. Ma il serpente lo rassicurava che tanti alberi avevano fatto come lui. Anzi se non voleva essere preso in giro da tutti gli altri doveva fare finta di essere un albero che già da molto tempo aveva disubbidito a quei dieci stupidi paletti messi come recinto dal padrone contadino. "Quei paletti non erano di protezione per il tuo bene, ma erano di ostacolo... li aveva messi per non farti scappare" gli aveva detto il serpente per convincerlo a superare quel sentimento strano. E camminando e strisciando arrivarono al fiume. Il nostro salice era emozionato. Non l'aveva mai visto prima. Aveva solo sentito il rumore dell'acqua da lontano. Gli sembrò strano tutto quel silenzio.. Ma d'altra parte era notte. "Quando verrà il giorno vedrai che bello" pensava. Si mise con le radici dentro un buco lasciato da un albero secco che era caduto dentro il fiume, e il serpente lavorò tutta la notte per riempirlo ben bene con la terra affinché entrasse profondamente. Quando fu giorno il salice ridente ebbe una dolorosa sorpresa... Quel posto era coperto da una parete rocciosa ed era sempre in ombra! Il sole non batteva mai sulla sua chioma. Ma il dolore si accompagnò ad un grido quando si accorse che il fiume non era un fiume, ma una fogna! L'acqua era sporca e inquinata perciò c'era così tanto silenzio. Nessun animale e nessun uccello sarebbe mai venuto a bere quella schifezza. Avrebbe voluto alzarsi e tornare dentro il recinto di casa, ma la terra era così dura che non gli riusciva proprio di muoversi. I suoi rami crescevano come volevano, è vero. Ma erano sempre più spogli e malati. Sempre più curvi verso il basso. I rovi gli si avvolgevano intorno ogni giorno di più con le loro spine. E il serpente? Il serpente - quel grande bugiardo - aveva fatto del nostro albero la sua tana e, approfittando dei rami pendenti, mordeva le persone che malauguratamente passavano lì sotto per buttare la spazzatura. E il salice ridente scoppiò in un grande pianto. Così divenne il salice piangente. Lontano da casa e lontano dal sole; lontano dal suo contadino e lontano dal bene. Aveva fatto male ad uscire dal recinto e ora stava male. Si era condannato da solo ad una morte certa dalla quale non poteva più scappare. Ecco perché c'era quel buco. Ecco perché quell'albero era secco. Quel buio della notte che ora l'avvolgeva, lui l'aveva già avvertito nel suo cuore.. era stato quel sentimento strano che aveva provato nel fare qualcosa di nascosto. Aveva accolto le tenebre quando aveva rifiutato di accogliere le cure del suo contadino ed il luogo recintato in cui l'aveva messo insieme al suo giovane figlio. Il ricordo di quel luogo pieno di luce, di gioia, di pace divenne il motivo della sua tristezza, amarezza e pianto.
Sui fiumi di Babilonia, là sedevamo piangendo al ricordo di Sion.. ai salici di quelle terre
appendemmo le nostre cetre"..
Ma il figlioletto del contadino - che si chiamava Gesuino - alzandosi la mattina e non vedendo più al suo posto il salice ridente, non poteva proprio avere pace. Lui trascorreva tanto tempo arrampicandosi sopra il suo albero. Ci si dondolava, ci giocava a nascondino con i suoi amici, si sedeva sotto la sua ombra.. Era preoccupato e voleva andare a cercarlo. Così ne parlò a suo padre. Un altro padre non avrebbe lasciato partire il suo unico figlioletto, ma era così grande la fiducia del padre in Gesuino e così grande il suo amore per quel salice ridente che benedisse suo figlio e gli diede l'incarico di andare a salvare l'albero. Disse che voleva fare addirittura una "nuova ed eterna alleanza" con quel salice. L'avrebbe trattato non più come un albero, ma proprio come un figlio.. come un fratello di Gesuino. E Gesuino, tutto contento, lasciò anche lui la casa. Fece il suo zainetto e si mise in viaggio. Partì di giorno, passando dalla porta, senza scavalcare il recinto. Si mise sulle tracce del suo albero, deciso a non tornare finché non l'avesse trovato e salvato... Cammina, cammina Gesuino finalmente arrivò nei pressi del luogo dove il salice era imprigionato. Quando il salice lo vide di lontano non riconobbe subito che era l'adorato figlioletto del suo amato padrone. Voleva soltanto avvisare quel bambino di stare attento al serpente! Ma Gesuino si mise sulla testa una corona di spine - le stesse spine che ormai avvolgevano tutto il tronco del salice - e si arrampicò rimanendo immobile sopra un ramo come se fosse morto. Il serpente non si accorse di nulla e vedendo le spine pensò che tutto fosse come al solito. Quando passò vicino, Gesuino lo afferrò per la testa e gliela staccò. Oh se aveste visto quanto a lungo rimase abbracciato al suo albero. Lo abbracciava e lo accarezzava. "Ti perdono, sta’ tranquillo! Ti riporto a casa". Poi scavò per liberarlo dalla terra e dalle spine. Gesuino era piccolo ma aveva una forza straordinaria, incredibile. Dopo averlo liberato se lo caricò sulle spalle e piano piano si diresse verso casa. Il salice era così felice, ma così felice che avrebbe voluto ridere per tutta la vita... Ma non riusciva a fare altro che piangere. Piangeva per la gioia e la commozione che provava. Così rimase un salice piangente, ma piangente di gioia. Le sue lacrime, cadendo sulla terra durante il ritorno verso casa, fecero nascere un'infinità di fiori che ancora oggi fanno più bella la terra. I suoi rami sono ancora penzoloni, ma non più perché tristi o malati. Sono così perché il salice piangente, una volta tornato a casa, volle inchinare la sua chioma in segno di ringraziamento e di umiltà verso Gesuino e suo padre. E per loro scrisse anche questo canto:
Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia; nella tua grande bontà cancella il mio peccato. Lavami da tutte le mie colpe, mondami dal mio peccato. Rendimi la gioia di essere salvato, sostieni in me un animo generoso. Insegnerò agli erranti le tue vie e i peccatori a te ritorneranno.
Quando Gesuino divenne grande e tutti quanti ormai lo chiamavano Gesù, lasciò di nuovo la casa per andare a salvare tutti gli alberi della terra. Il salice, ormai vecchio, venne tagliato e col suo legno fabbricarono una grande croce. E accadde ancora che Gesù salì su quel salice, ormai a forma di croce. Ancora una volta con la corona di spine sulla testa vi rimase disteso sopra come morto. Il suo capo era inchinato verso il basso, come se egli stesso fosse diventato un ramo del suo amato albero. E come un ramo di salice piangente Gesù versava le sue lacrime. E le sue lacrime sembravano diamanti che riflettevano in ogni direzione la luce delle sue parole: "Ti perdono, sta’ tranquillo! Ti riporto a casa". Tutte le persone sono attirate da quelle lacrime e dalla loro luce. Chi ne viene a contatto si trasforma in un bellissimo e profumato fiore che fa più bella la terra. Così il salice piangente, dovunque si trovi nel mondo, continua ad essere per tutti il segno dell'amore di Dio. La sua vista consola tutti quelli che piangono perché si sentono lontani da casa o senza speranza a causa dei propri sbagli e peccati. Dalle sue foglie si ricava una medicina molto potente che alcuni chiamano: "fiducia" ed altri invece: "coraggio". E dai suoi frutti di umiltà si ricava una bevanda miracolosa che impedisce al veleno dei serpenti di uccidere o di fare del male.
tratto dall'Archivio Notizie della Diocesi di Altamura:
http://www.diocesidialtamura.it/index.php?option=com_content&view=article&id=510:la-storia-del-salice-piangente&catid=61:archivio-notizie&Itemid=99
Sui fiumi di Babilonia, là sedevamo piangendo al ricordo di Sion.. ai salici di quelle terre
appendemmo le nostre cetre"..
Ma il figlioletto del contadino - che si chiamava Gesuino - alzandosi la mattina e non vedendo più al suo posto il salice ridente, non poteva proprio avere pace. Lui trascorreva tanto tempo arrampicandosi sopra il suo albero. Ci si dondolava, ci giocava a nascondino con i suoi amici, si sedeva sotto la sua ombra.. Era preoccupato e voleva andare a cercarlo. Così ne parlò a suo padre. Un altro padre non avrebbe lasciato partire il suo unico figlioletto, ma era così grande la fiducia del padre in Gesuino e così grande il suo amore per quel salice ridente che benedisse suo figlio e gli diede l'incarico di andare a salvare l'albero. Disse che voleva fare addirittura una "nuova ed eterna alleanza" con quel salice. L'avrebbe trattato non più come un albero, ma proprio come un figlio.. come un fratello di Gesuino. E Gesuino, tutto contento, lasciò anche lui la casa. Fece il suo zainetto e si mise in viaggio. Partì di giorno, passando dalla porta, senza scavalcare il recinto. Si mise sulle tracce del suo albero, deciso a non tornare finché non l'avesse trovato e salvato... Cammina, cammina Gesuino finalmente arrivò nei pressi del luogo dove il salice era imprigionato. Quando il salice lo vide di lontano non riconobbe subito che era l'adorato figlioletto del suo amato padrone. Voleva soltanto avvisare quel bambino di stare attento al serpente! Ma Gesuino si mise sulla testa una corona di spine - le stesse spine che ormai avvolgevano tutto il tronco del salice - e si arrampicò rimanendo immobile sopra un ramo come se fosse morto. Il serpente non si accorse di nulla e vedendo le spine pensò che tutto fosse come al solito. Quando passò vicino, Gesuino lo afferrò per la testa e gliela staccò. Oh se aveste visto quanto a lungo rimase abbracciato al suo albero. Lo abbracciava e lo accarezzava. "Ti perdono, sta’ tranquillo! Ti riporto a casa". Poi scavò per liberarlo dalla terra e dalle spine. Gesuino era piccolo ma aveva una forza straordinaria, incredibile. Dopo averlo liberato se lo caricò sulle spalle e piano piano si diresse verso casa. Il salice era così felice, ma così felice che avrebbe voluto ridere per tutta la vita... Ma non riusciva a fare altro che piangere. Piangeva per la gioia e la commozione che provava. Così rimase un salice piangente, ma piangente di gioia. Le sue lacrime, cadendo sulla terra durante il ritorno verso casa, fecero nascere un'infinità di fiori che ancora oggi fanno più bella la terra. I suoi rami sono ancora penzoloni, ma non più perché tristi o malati. Sono così perché il salice piangente, una volta tornato a casa, volle inchinare la sua chioma in segno di ringraziamento e di umiltà verso Gesuino e suo padre. E per loro scrisse anche questo canto:
Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia; nella tua grande bontà cancella il mio peccato. Lavami da tutte le mie colpe, mondami dal mio peccato. Rendimi la gioia di essere salvato, sostieni in me un animo generoso. Insegnerò agli erranti le tue vie e i peccatori a te ritorneranno.
Quando Gesuino divenne grande e tutti quanti ormai lo chiamavano Gesù, lasciò di nuovo la casa per andare a salvare tutti gli alberi della terra. Il salice, ormai vecchio, venne tagliato e col suo legno fabbricarono una grande croce. E accadde ancora che Gesù salì su quel salice, ormai a forma di croce. Ancora una volta con la corona di spine sulla testa vi rimase disteso sopra come morto. Il suo capo era inchinato verso il basso, come se egli stesso fosse diventato un ramo del suo amato albero. E come un ramo di salice piangente Gesù versava le sue lacrime. E le sue lacrime sembravano diamanti che riflettevano in ogni direzione la luce delle sue parole: "Ti perdono, sta’ tranquillo! Ti riporto a casa". Tutte le persone sono attirate da quelle lacrime e dalla loro luce. Chi ne viene a contatto si trasforma in un bellissimo e profumato fiore che fa più bella la terra. Così il salice piangente, dovunque si trovi nel mondo, continua ad essere per tutti il segno dell'amore di Dio. La sua vista consola tutti quelli che piangono perché si sentono lontani da casa o senza speranza a causa dei propri sbagli e peccati. Dalle sue foglie si ricava una medicina molto potente che alcuni chiamano: "fiducia" ed altri invece: "coraggio". E dai suoi frutti di umiltà si ricava una bevanda miracolosa che impedisce al veleno dei serpenti di uccidere o di fare del male.
tratto dall'Archivio Notizie della Diocesi di Altamura:
http://www.diocesidialtamura.it/index.php?option=com_content&view=article&id=510:la-storia-del-salice-piangente&catid=61:archivio-notizie&Itemid=99